L’IMPATTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SULLA SALUTE E LA SICUREZZA AL LAVORO

Rubrica Medicina del Lavoro di Domenico Della Porta

Applicazioni dell’intelligenza artificiale negli ambienti di lavoro

L’Intelligenza Artificiale potrebbe creare delle opportunità ma anche sollevare nuove problematiche per la salute e la sicurezza sul lavoro (SSL), la sua gestione e la sua regolamentazione.

Ecco il motivo per cui il Ministro del Lavoro Marina Calderone in un suo articolato e condivisibile intervento di qualche settimana fa,  ha precisato prudentemente, tra l’altro: “Se è vero che l’attuale disciplina in materia di privacy di livello nazionale ed europea offre, potenzialmente, la giusta protezione dei dati, non può passare inosservato che l’utilizzo della IA permetterebbe a soggetti malintenzionati di compiere pericolose violazioni” aggiungendo giustamente che “è proprio alla salvaguardia di tali diritti fondamentali (privacy, non discriminazione, salute e sicurezza) deve ispirarsi l’azione del legislatore, il quale è chiamato ad assumere decisioni ed individuare soluzioni normative che regolamentino la materia valorizzando le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, senza arretrare minimamente nella tutela dei lavoratori e dei loro diritti

L’IA viene impiegata in un’ampia gamma di applicazioni e strumenti per il lavoro assistito e l’analisi dei dati, consentendo l’automazione di compiti sempre più complessi nonché la gestione e il processo decisionale automatizzati o semi-automatizzati sul luogo di lavoro. Le applicazioni dell’IA nei processi di lavoro sono svariate: cobot, tecnologie indossabili e tablet di assistenza lungo la catena di montaggio della produzione, chatbot nelle fabbriche, nei magazzini e nei call center, dispositivi di protezione individuale intelligenti, processi algoritmici nelle applicazioni per risorse umane come la «people analytics»  e la «gamificazione».

L’IA potrebbe creare delle opportunità ma anche sollevare nuove problematiche per la salute e la sicurezza sul lavoro (SSL), la sua gestione e la sua regolamentazione. Il dibattito sull’IA verte per la maggior parte sul numero dei posti di lavoro, ma dovrebbe anche riguardare la qualità degli stessi. In tal senso, la SSL è un aspetto fondamentale.

I robot che integrano l’IA stanno diventando mobili, intelligenti e collaborativi. Il loro utilizzo evita ai lavoratori di trovarsi in situazioni pericolose e migliora la qualità del lavoro affidando compiti ripetitivi a macchine veloci, accurate e instancabili. I cobot possono inoltre agevolare l’inserimento in un posto di lavoro a molte persone (lavoratori anziani o con disabilità) e collaborano con i colleghi umani in un’area di lavoro condivisa.

L’IA ha anche favorito l’emergere di nuove forme di monitoraggio e di gestione dei lavoratori: le tecnologie digitali che ne fanno uso permettono infatti di attuare modalità di controllo e gestione dei dipendenti nuove, diffuse, costanti e a basso costo, in virtù dell’acquisizione in tempo reale di grandi quantità di dati sui lavoratori. Questi dati possono essere raccolti durante e al di fuori dell’orario lavorativo e in diversi ambienti di lavoro, nonché al di fuori di essi e, talvolta, al di là dello stretto necessario o di ciò che è legalmente consentito.

Si possono acquisire dati sui lavoratori attraverso dispositivi mobili o dispositivi di monitoraggio indossabili o integrati (negli abiti, nei dispositivi di protezione individuale o persino a contatto col corpo). Tali dati includono i clic della tastiera, il contenuto delle e-mail, i siti web visitati, il numero e il contenuto delle telefonate, le informazioni acquisite dai social media, i luoghi individuati tramite il rilevamento GPS, i movimenti corporei, i segni vitali, gli indicatori di stress e affaticamento, le espressioni microfacciali, il tono di voce e la «sentiment analysis».

Tuttavia, l’aumento della mobilità dei cobot e della loro autonomia decisionale, basata su algoritmi di autoapprendimento, potrebbero renderne meno prevedibili le operazioni per chi collabora con tali macchine; ciò potrebbe comportare un maggior rischio di incidenti provocati da collisioni o dai dispositivi utilizzati dagli stessi cobot.

L’eccessivo affidamento sulla tecnologia potrebbe altresì causare una dequalificazione e rischi per la sicurezza; il fatto che i cobot sono collegati all’internet delle cose causa problemi di sicurezza informatica e rischi associati alla sicurezza funzionale. I dipendenti che devono adeguarsi al ritmo e al livello di lavoro di un cobot potrebbero essere messi sotto pressione per raggiungere lo stesso grado di produttività. L’aumento del lavoro con i robot potrebbe inoltre ridurre sensibilmente il contatto con i colleghi umani e il sostegno derivante dai contatti sociali, con possibili effetti negativi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, in particolare quella mentale.


LAVORO E SPORT. IL RAGGIUNGIMENTO DEL BENESSERE LAVORATIVO

Il raggiungimento del “benessere lavorativo” è non solo una condizione primaria per facilitare il lavoro e migliorare le performance, ma anche una condizione indispensabile per influenzare e trasferire i comportamenti positivi degli individui lavoratori anche nell’ambiente di vita. Ecco perché vale la pena richiamare, anche per gli operatori delle forze di polizia, quanto indicato nell’ultimo capoverso della lettera a del primo comma dell’art.25 del D.Lgs. 81/2008, la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dove tra i compiti del medico competente, viene sottolineata la collaborazione (con il datore di lavoro) alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha codificato un modello generale di intervento denominato Healthy workplaces: a model for action, la cui idea centrale è che una organizzazione  che promuove la salute si impegna a costruire, attraverso un processo partecipato che vede il coinvolgimento di tutte le parti coinvolte, un contesto che favorisce l’adozione di comportamenti e scelte positive per la salute, nel proprio interesse e nell’interesse dei lavoratori e della collettività. Le ricerche dimostrano che per ogni euro investito nella Promozione della Salute si ottiene un rendimento compreso tra 2,5 e 4,8 euro per la riduzione dei costi legati al tasso di assenteismo. L’Agenzia Europea a proposto alcuni esempi di misure di Promozione della Salute nel Lavoro ( PSL):

Misure a livello organizzativo:

  • offrire flessibilità in termini di orari e luoghi di lavoro;
  • favorire la partecipazione dei lavoratori al miglioramento dell’organizzazione del loro lavoro e del loro ambiente lavorativo;
  • mettere a disposizione dei lavoratori opportunità di apprendimento permanente.

Misure riguardanti l’ambiente di lavoro:

  • fornire spazi di socializzazione;
  • vietare completamente il fumo;
  • offrire un ambiente di lavoro che promuova il benessere psicosociale.

Misure a livello individuale:

  • proporre e finanziare attività ed eventi sportivi;
  • incoraggiare un’alimentazione sana;
  • offrire programmi per smettere di fumare;
  • sostenere il benessere mentale, ad esempio attraverso consulenze esterne di tipo psicosociale in forma anonima e sedute per combattere lo stress.

Vale la pena riportare la seguente riflessione elaborata dalla Onlus Corpore Sano Magazine, dove viene sottolineato l’importanza per i lavoratori di praticare lo sport, anche amatoriale.

“1. Lo sport aumenta la produttività

Un’attenzione che nasce, oltre che da una nuova cultura salutista, dalla consapevolezza che un dipendente sano alleggerisce le spese corporate.

Negli Stati Uniti si calcola che la sola corsa dei lavoratori sul tapis roulant potenzia dell’8% la produttività aziendale.

Non solo: Uno studio presentato dall’American College of Sports Medicine ha rivelato che chi spende 30-60 minuti facendo attività fisica all’ora di pranzo fa registrare un incremento produttivo del 15%.

Il 60% dei lavoratori dichiara che le loro capacità di organizzazione del tempo, le prestazioni intellettive e la capacità di rispettare le scadenze migliorano nel giorno in cui si sono allenati.

Questi stessi dipendenti sono meno portati a soffrire di cali d’attenzione dopo l’esercizio fisico, ed anche il loro umore risulta migliore.

  1. Riduce le assenze per malattia

La Ong americana National Group Report ha stimato che se un lavoratore in salute si assenta almeno 3 giorni l’anno a causa di malanni di stagione e influenze, l’individuo sovrappeso rimane in malattia in media da 5 a 13 giorni l’anno.

Uno studio pubblicato sul Journal of Occupational & Environmental Medicine ha mostrato come, con sole 2,5 ore di esercizio a settimana, ci sia stata una sensibile riduzione delle assenze.

Insomma, se fanno sport e sono in buona salute, i lavoratori tendono a prendersi meno giorni di malattia, e mettono molta più energia in quello che fanno.

  1. Aiuta il team building

Sono sempre di più le organizzazioni che scelgono lo sport come attività di team building del personale: un campo da tennis o da basket, ma anche una piscina o un golf club sono i luoghi più adeguati per attività competitive che abbiano lo scopo di fare da collante tra i partecipanti.

Nelle attività sportive l’obiettivo da raggiungere è chiarissimo e il percorso da fare per arrivare al risultato finale mette in gioco le competenze, diverse e convergenti, dei vari partecipanti.

Le attività di team building che prevedono di praticare uno sport permettono a ogni persona di comprendere quali sono le sue precise competenze e svilupparle al meglio per raggiungere l’obiettivo finale: ogni individuo contribuisce così, nella sua parte, a portare a casa un risultato che soddisfi tutta la squadra.

  1. Stimola la creatività

Il modo migliore per farsi venire un’idea creativa? Mettersi le scarpe da running e andare a correre.

Correre infatti, per almeno 6 runner su 10, è l’attività ideale non solo per tenersi in forma, ma anche per trovare ispirazione e schiarire pensieri nella vita come sul lavoro.

Non solo: la corsa, in particolare al mattino, per il 97% dei corridori è un toccasana per rendere migliore la propria giornata.

Lo stesso vale per il trekking: camminare immersi nella natura permette un aumento della capacità creativa del 50%, infatti l’ambiente naturale, secondo gli esperti, gioca un ruolo fondamentale nel nostro modo di pensare e di comportarci.

Il cervello si riposa e si prepara a dare vita a nuovi processi di pensiero creativo.

  1. Migliora l’umore e riduce l’ansia

Un recente studio della London School of Hygiene ha rivelato che chi va in ufficio a piedi o in bicicletta, oltre a beneficiarne sotto il profilo economico, aumenta il livello del proprio benessere psicofisico.

Anche i ricercatori della University of East Anglia hanno riferito un maggiore benessere mentale nei pendolari che camminano o che utilizzano le due ruote: la ricerca, che ha preso in considerazione oltre 18mila pendolari di età compresa tra 18 e i 65 anni, ha mostrato che chi rinuncia all’automobile gode di una maggior concentrazione ed un umore migliore durante le ore lavorative.

Un risultato importante, se si pensa che la depressione in Europa è tra le principali cause di astensione dal lavoro – specialmente tra le donne – e dunque andrebbe sempre presa in esame quando si trattano i problemi che possono influire sulla performance delle risorse umane in un’azienda.

Quando pratichiamo esercizio fisico, difatti, il nostro cervello rilascia endorfine, un particolare ormone che agisce in modo simile ad un antidepressivo, e ci fa sentire più sereni e rilassati.

Anche un recente studio dei ricercatori Smits e Michael Otto ha mostrato che l’esercizio fisico è un efficace trattamento per depressioni lievi e moderate.

Inoltre, l’esercizio fisico riduce le alterazioni fisiologiche associate all’ansia, come il battito cardiaco accelerato e la respirazione affannosa.

Cosa succede in Italia?

In base ai sondaggi del Randstad Workmonitor, realizzati in 33 Paesi del mondo da Randstad Holding (gruppo internazionale specializzato in risorse umane), gli italiani risulterebbero i più attenti al benessere psicofisico: per il 91% dei nostri rispondenti, infatti, la formula giusta per ottenere uno stile di vita salutare ?? data, oltre che dal corretto equilibrio tra vita professionale e personale, anche dalla pratica costante di attività fisica.

E ben il 78% dei dipendenti italiani, contro il 70% della media globale, rende di più in ufficio proprio grazie allo sport.

Inoltre, il 63% dei datori di lavoro italiani supporta lo stile di vita salutare dei propri dipendenti, proponendo cibo sano nella mensa aziendale o assicurando l’affiancamento di un job coach, per mantenere in forma anche la mente.

E, sebbene i numeri non siano ancora elevati, anche in Italia l’idea della palestra in ufficio sta prendendo piede: il 37% delle aziende dispone di strutture sportive e fornisce sconti per attrezzature dedicate all’attività fisica, anche se solo il 33% permette di fare sport durante le ore d’ufficio.

Percentuali minori rispetto al resto del mondo, che tuttavia sembrano destinate a salire.

Tra gli esempi virtuosi di aziende che promuovono lo sport vi è la Ferrari. La casa automobilistica di Maranello già dal 1997 ha ideato “Formula Benessere”, un progetto focalizzato sulla salute che offre visite di controllo specialistiche nonchè un programma di allenamento finalizzato sia allo sviluppo professionale che agli interessi personali.

Non poteva mancare la palestra aziendale in Technogym: si tratta di un vero e proprio wellness centre che misura 3500 metri quadrati e fornisce consulenze con personal trainer o lezioni di Tai Chi, Group Cycling e Functional Training.

Palestra interna (con sauna) anche per la casa farmaceutica Elli Lilly di Sesto Fiorentino, che ha inoltre finanziato tutti i lavori di ristrutturazione dell’impianto sportivo locale dotandolo di attrezzi moderni, sauna e rete wi-fi gratuita.

Ancora, sono presenti palestre anche nelle nuove sedi Unicredit di Milano e American Express di Roma.

Infine Niccolò Branca, amministratore delegato dell’azienda produttrice del Fernet Branca e appassionato di yoga, ha lanciato un programma di yoga coaching destinato ai dipendenti.

Gli esercizi comprendono combinazioni di respiro, posture, mantra e focalizzazione visiva o mentale.

Risultato?

Meno stress, aumento dell’energia e più motivazione.

Fare moto sul posto di lavoro, tuttavia, non è un privilegio destinato solo a chi è impiegato in grandi multinazionali.

Ne sanno qualcosa i 30 dipendenti della sede romana di Translated.net, un’azienda che fornisce servizi di traduzione online grazie a una fitta rete di professionisti freelance.

Da quasi due anni, il datore di lavoro ha avviato un programma sportivo gratuito: nel giardino della villa in cui ha sede l’azienda si può fare spinning due volte a settimana, in compagnia di un personal trainer.

Non solo: la struttura è dotata di una palestra, dove ogni dipendente può seguire un programma di allenamento personalizzato e può persino sottoporsi a un rilassante massaggio due volte a settimana.”

Dott. Domenico Della Porta


TURNI DI NOTTE. LA SINDROME DEL TURNISTA

 

Un interessante approfondimento del dottor Domenico della Porta, specializzato in Medicina del Lavoro, riguardo gli effetti del turno notturno. Analizzate le conseguenze  sui normali ritmi biologici, il professore offre anche un elenco di consigli utili.

 

E’ chiamata “sindroma del turnista” quella che si manifesta in Italia ed in Europa tra i lavoratori e le lavoratrici in turno tra personale delle forze dell’ordine e personale medico e paramedico, senza contare molti altri professionisti in diversi ambiti: dalla manutenzione stradale al settore terziario, dalla ristorazione ai servizi alberghieri.
Non a caso, da diversi anni esiste un nome per il disturbo del sonno dei turnisti: Shift Work Sleep Disorder (SWSD). Perché compare questo disturbo che può creare seri problemi legati alle prestazioni lavorative?

La ragione è semplice e già nota. Per funzionare correttamente il corpo umano ha bisogno che sia rispettata la fisiologica alternanza sonno-notturno e veglia-diurna. Questo perché tutto in noi segue ritmi circadiani (ovvero regolari nelle 24 ore): le secrezioni ormonali, l’attività nervosa, l’apparato gastrointestinale e quello riproduttivo, ad esempio, funzionano al meglio quando di giorno stiamo svegli e di notte dormiamo.
Lavorare la notte, o parte di essa, per almeno 3-4 volte al mese, compromette i ritmi biologici, altera le secrezioni ormonali, quelle di melatonina, adrenalina, cortisolo e ormoni sessuali e si ripercuote sulla funzionalità di tutto il corpo con le conseguenze su:

  • Qualità del sonno: i turnisti tendono a soffrire di varie forme di insonnia e possibili risvegli frequenti, in modo cronico e permanente per tutta la durata della vita lavorativa.
  • Apparato gastrointestinale: tra difficoltà digestive e maggiore incidenza di gastrite o reflusso gastro esofageo, lavorare la notte comporta alterazioni dei centri nervosi della fame e porta, per esigenze logistiche, a consumare snack e bevande poco salutari, oltre ad elevate dosi di caffè, nelle ore in cui normalmente stomaco ed intestino dovrebbero essere a riposo. Come conseguenze più frequenti, il sovrappeso e più raramente l’astenia e la perdita di peso.
  • Sistema cardiovascolare: a causa anche delle scorrette abitudini alimentari ed in concomitanza di un certo grado di predisposizione genetica, i turnisti sono maggiormente soggetti a patologie cardiovascolaripertensione arteriosa, rispetto ai lavoratori diurni.
  • Sistema nervoso centrale: l’alterazione delle secrezioni ormonali e dei neurotrasmettitori cerebrali come la serotonina, possono comportare, nel lungo termine, disturbi psichici lievi come ansia, stress e nervosismo oppure seri come forme di panico e depressione.
  • Rapporti affettivi e vita sociale: a cause degli orari di lavoro e delle esigenze di riposo, per i turnisti può essere più complesso mantenere rapporti affettivi soddisfacenti con il partner ed i figli, soprattutto in termini di presenza fisica  nella vita in famiglia. Spesso, se mamma o papà lavorano la notte, trascorrono parte del giorno a dormire. Anche avere una vita sociale può essere difficoltoso perché i lavoratori in turno spesso sono impiegati la sera, nei giorni festivi e nei week end, momenti solitamente riservati allo svago ed al tempo libero. Tra i sintomi più frequenti di questo per riconoscere la Sindrome del Turnista ritroviamo:
  • Insonnia notturna anche nei giorni di riposo.
  • Sonnolenza diurna anche durante i giorni di riposo.
  • Alterazioni del senso dell’appetito: fame eccessiva a qualunque orario oppure astenia cronica.
  • Irritabilità e nervosismo cronici, anche al di fuori degli orari e dell’ambito lavorativo.
  • Difficoltà di concentrazione e diminuzione dei tempi di reazione sul lavoro ma anche a casa o alla guida.
  • Per le donne, cicli mestruali e ovulatori irregolari con possibile riduzione della fertilità. Una  volta stabilito che molti servizi, tra cui quelli sanitari a quelli di controllo dell’ordine pubblico, sono indispensabili alla nostra vita anche nelle ore notturne, l’ Associazione InformaSonno ha indicato una serie accorgimenti che si possono tenere per controllare e contribuire a  combattere la sindrome del turnista.
  1. Mantenere, se possibile, una certa regolarità negli orari del sonno notturno e diurno. In pratica, al termine di ogni notte di lavoro è utile andare a dormire puntando la sveglia sempre alla solita ora. Nei turni diurni e nei giorni di riposo, invece, scegliere un orario per coricarsi e svegliarsi, che sia sempre lo stesso o quasi.
  2. Mantenere gli orari dei pasti il più possibile regolari, durante i turni diurni ed il riposo e cercare durante la notte, di fare piccoli pasti prevalentemente proteici per restare attivi (i carboidrati inducono sonnolenza) e senza abbondare di grassi e zuccheri. Yogurt magro, frutta fresca e magari qualche noce o mandorla, sono uno spuntino ideale per “ricaricare le batterie” senza appesantire, anche di notte.
  3. Quando si dorme di giorno, cercare di mantenere la stanza da letto il più possibile buia e silenziosa anche ricorrendo a tende oscuranti o infissi insonorizzanti. Il sonno diurno sarà ristoratore quanto più somiglierà, almeno in termini di ambiente, a quello notturno.
  4. Fare regolarmente un sonnellino pomeridiano di massimo 30-40 minuti, possibilmente prima delle 15. Nel corso di 7 giorni significa recuperare 3 o 4 ore di sonno!
  5. Nei giorni di riposo e nei turni diurni, sfruttare al massimo la luce esterna per riequilibrare la secrezione di melatonina e per praticare attività fisica regolare, fondamentale a controllare il peso, lo stress e contrastare ansia e depressione.
  6. Evitare di abusare di caffè e bevande stimolanti, con il tempo infatti il rischio di assuefazione è alto!

Dott. Domenico Della Porta


OSSERVATORIO SUICIDI. CONOSCENZA DEL FENOMENO E POSSIBILI CONCAUSE

Indicando tra i compiti e le finalità del nuovissimo “Osservatorio permanente interforze sul fenomeno suicidario tra gli appartenenti alla forze di Polizia” “una particolare attenzione allo sviluppo di iniziative rivolte al benessere del personale e alla migliore gestione delle eventuali difficoltà che possono sorgere in attività di servizio”, il Prefetto Franco Gabrielli, Capo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, ha aperto un vero e proprio varco per affrontare e avviare a soluzione, in termini concreti,  questi tragici eventi.  Attraverso un sistematico ed analitico monitoraggio del “fenomeno suicidio” cui saranno chiamati i componenti dell’Osservatorio, “promuovendo anche lo studio di specifici percorsi di sensibilizzazione del personale e degli stessi responsabili dei reparti, delle strutture e dei servizi delle Forze di Polizia” si arriverà sicuramente a scardinare il sistema raggiungendo tangibili risultati.  In Medicina del Lavoro l’analisi del clima organizzativo  seguendo il metodo della ricerca-intervento sarà in grado di “accrescere la conoscenza del fenomeno e delle possibili concause”. La questione del “benessere del personale”, da tenere presente in tutti gli ambiti lavorativi , richiama alla mente la Direttiva sul Benessere Organizzativo nella Pubblica Amministrazione, promulgata il 23 marzo 2004  dall’allora Ministro della Funzione Pubblica Luigi Mazzella.  Al paragrafo 4  del documento del Ministero della Funzione Pubblica  erano indicate le variabili da seguire per accrescere proprio il benessere organizzativo:

  • Caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si svolge. L’amministrazione allestisce un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente.
  • Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative. L’amministrazione definisce obiettivi espliciti e chiari ed assicura coerenza tra enunciati e prassi operative.
  • Riconoscimento e valorizzazione delle competenze. L’amministrazione riconosce e valorizza le competenze e gli apporti dei dipendenti e stimola nuove potenzialità, assicurando adeguata varietà dei compiti ed autonomia nella definizione dei ruoli organizzativi nonché pianificando adeguati interventi di formazione.
  • Comunicazione intraorganizzativa circolare. L’amministrazione ascolta le istanze dei dipendenti e stimola il senso di utilità sociale del loro lavoro. e. Circolazione delle informazioni. L’amministrazione mette a disposizione dei dipendenti le informazioni pertinenti il loro lavoro.
  • Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali. L’amministrazione adotta tutte le azioni per prevenire gli infortuni e i rischi professionali.
  • Clima relazionale franco e collaborativo. L’amministrazione stimola un ambiente relazionale franco, comunicativo e collaborativo.
  • Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi. L’amministrazione assicura la scorrevolezza operativa e la rapidità di decisione e supporta l’azione verso gli obiettivi.
  • Giustizia organizzativa. L’amministrazione assicura, nel rispetto dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale e di attribuzione dei carichi di lavoro.
  • L’Apertura all’innovazione. L’amministrazione è aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale.
  • Stress. L’amministrazione tiene sotto controllo i livelli percepiti di fatica fisica e mentale nonché di stress.
  • Conflittualità.

Domenico Della Porta

Docente di Medicina del Lavoro


LAVORO E VIDEOTERMINALI

Solitamente nel videoterminalista lo stress non è strettamente correlato all’utilizzo del computer, ma è causato principalmente dal tipo di compito e dall’organizzazione del lavoro. I principali fattori stressogeni nel lavoro al videoterminale sono:

  • Caratteristiche di contenuto della mansione (monotonia e ripetitività; ovvero eccessiva complessità dei compiti; perdita di controllo sul processo);
  • Rapporto conflittuale con il computer (timore verso le nuove tecnologie, timore di controllo sul lavoro svolto; timore di dequalificazione; timore per la sicurezza del posto di lavoro; modalità complessa di gestione dei dati; timore di non essere in grado di usare lo strumento; dipendenza dalla macchina);
  • Ridotti rapporti interpersonali;
  • Fattori ambientali sfavorevoli (inadeguatezza della postazione di lavoro, rumore, illuminazione insufficiente e così via).

Tra gli operatori dei call center, oltre alla monotonia e alla ripetitività dei compiti presenti in ogni ufficio, può accentuarsi il livello di stress a causa della peculiarità della mansione, quali, per esempio la forte spinta alla produttività, la demotivazione dell’operatore, i continui cambiamenti per la riorganizzazione del personale. In tutti i settori lavorativi, comunque, sia del privato, sia della Pubblica Amministrazione, i malesseri evidenziati dagli addetti ai videoterminali sono sempre riconducibili all’organizzazione del lavoro, alla ripartizione delle mansioni ed al clima sociale che si instaura sul posto di lavoro.

Sovraccarico di tipo qualitativo e paura.

Si presenta un sovraccarico qualitativo quando il lavoratore per mancanza di competenze o formazione inadeguata, non è in grado di portare a termine i propri compiti senza un eccessivo dispendio di energia. .L’introduzione di nuove metodologie di lavoro può rendere insicuro il lavoratore che non sa più cosa lo aspetta e se è in grado di gestire il cambiamento. Nel lavoratore sprovvisto delle necessarie competenze tecniche può affiorare un senso di inadeguatezza oppure la sensazione di essere subordinati ad una tecnologia a lui oscura. In questi casi è la paura ad avere il sopravvento. Il lavoratore ha il timore di non farcela con i propri mezzi e di perdere il prestigio personale ed il lavoro. Ecco gli interventi correttivi.

Le sensazioni che si registrano in questo caso possono essere affrontati in due modi diversi: Da un lato occorre assicurare al lavoratore di conseguire la necessaria formazione nei tempi giusti durante il lavoro. Dall’altro, se il sistema introdotto è troppo complicato, bisogna semplificare la struttura di dialogo e ridisegnare l’interfaccia con la consulenza di ergonomi e la partecipazione diretta degli interessati.

Soddisfazione sul lavoro.

L’esperienza insegna che un lavoratore soddisfatto rende di più, registra meno assenze dal lavoro e ha una maggiore costanza rispetto ad un lavoratore insoddisfatto. Il grado di soddisfazione sul lavoro dipende essenzialmente dai seguenti fattori: atteggiamento personale nei confronti della propria attività e del contenuto delle mansioni; sicurezza del posto di lavoro; configurazione del posto di lavoro; rapporti con colleghi e superiori; possibilità di carriera; salario. L’importanza di ciascuno di questi fattori dipende dalla personalità e dalle aspirazioni dei singoli. Una persona con una buona istruzione si pone solitamente obbiettivi più ambiziosi di una con minore istruzione.

Ecco gli interventi correttivi.

Se si vuole aumentare il grado di soddisfazione sul lavoro e quindi anche la qualità del lavoro al videoterminale, non basta migliorare il contenuto del lavoro, l’organizzazione del lavoro e l’architettura della postazione di lavoro, ma bisogna considerare le capacità e le competenze del singolo. Bisogna puntare, per quanto possibile, ad una maturazione professionale del lavoratore.

Organizzazione del lavoro.

Le attività tradizionali al videoterminale sono caratterizzate dai seguenti fattori: tempo effettivo trascorso davanti allo schermo; tipo ed intensità delle attività di lettura; frequenza dell’inserimento dati; tempi di attesa dovuti al sistema; percentuale di lavori monotoni e noiosi contrapposti a lavori impegnativi ed interessanti; ritmo di lavoro imposto; controllo del ritmo di lavoro da parte del superiore; alternanza del lavoro al VDT con altre attività; autonomia dell’utente relativamente alla ripartizione e organizzazione del lavoro.

Ecco gli interventi correttivi.

E’ importante prioritariamente effettuare una attenta analisi delle attività da svolgere e delle esigenze dell’azienda. Prima di iniziare a lavorare al vdt i dipendenti devono aver seguito un corso di formazione comprendente: l’introduzione al sistema informatico in dotazione; l’applicazione del sistema con riferimento agli incarichi concreti; l’illustrazione dei principi ergonomici per configurare al meglio la postazione di lavoro. Particolare attenzione va riservata all’adattamento delle attrezzature di lavoro e del sedile in base alle esigenze personali. L’attività del videoterminalista , poi, è interessante se le mansioni da svolgere sono varie e complete.. Per questo motivo il lavoratore dovrebbe poter svolgere anche mansioni diverse e più impegnative. Va detto che la quantità e qualità del lavoro aumentano se si effettuano regolarmente le pause previste.

 

La normativa di riferimento resta il D.Lgs. 81/2008 dove all’art.174, nell’ambito delle attivItà lavorative che comportano l’uso di attrezzature munite di videoterminale,  viene precisato che il datore di lavoro analizza i posti di lavoro con particolare riguardo, tra gli altri, ai problemi legati all’affaticamento mentale. Al paragrafo 3 dell’allegato XXXIV del predetto decreto si parla, infine, dell’”interfaccia elaboratore/uomo” dove è sottolineato, tra l’altro, che il software deve essere di facile uso…..strutturato in modo tale da fornire indicazioni comprensibili…..assicurando un ritmo adeguato ai lavoratori…….rispettando i principi ergonomici.

Domenico Della Porta

Docente di Medicina del Lavoro


IGIENE E SICUREZZA DEL LAVORO: LA PREVENZIONE DI GENERE

Non va trascurata la Prevenzione di Genere invocata in maniera esplicita dalla vigente normativa in materia di Igiene e Sicurezza del Lavoro.  Da alcune statistiche presentate nel corso di un recente Congresso Nazionale della Simili, la Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale svoltosi a Torino, viene fuori ancora una maggiore incidenza della morbilità, sul posto di lavoro, delle donne rispetto agli uomini (105 donne vs 100 uomini) di patologie croniche (diabete) e mentali (depressione). Eppure in ben otto articoli del D.Lgs. 81/2008 (1,6,8,28, 40, 183, 190 2 202)  il legislatore richiama il datore di lavoro a rivolgere un’attenzione particolare al genere femminile perché fosse particolarmente salvaguardato. Una studiosa canadese di medicina del lavoro, Karen Messing ha posto in più occasione diversi quesiti, ancora senza risposta, riguardanti la precarietà delle condizioni di lavoro femminili rispetto a quelle dei maschi: i problemi muscolo scheletrici delle donne sono meno riconosciuti; c’è ancora una discriminazione nell’accesso agli indennizzi; i maschi sono più indennizzati delle donne; le donne in lavori maschili hanno più infortuni; le donne che lavorano al computer sono più esposte degli uomini; i dispositivi di protezione individuali (DPI) non sono concepiti anche per il genere femminile; il seno delle donne non è considerato nella progettazione; non è studiata la relazione tra tossici industriali e menopausa. A questo quadro vanno aggiunti altri aspetti di salute indiretti quali i diversi livelli di formazione nei due generi, in quanto alle donne il doppio carico (impegno familiare e lavoratrice) sottrae tempo per la formazione, anche per la salute e sicurezza e il tempo extralavorativo difficilmente può essere impiegato in questa direzione.  Un’altra difficoltà per le donne sarebbe generata anche dalla diversa esperienza femminile nel mondo del lavoro, troppo recente per avere acquisito sufficiente “cultura” nei processi decisionali in un quadro di valori che può esprimere differenze da quello maschile generando maggiori conflitti. Occorre partire per attivare idonei percorsi preventivi dalle “buone pratiche” orientate al genere, tenendo presente quanto sottolineato dal foglio 43 dell’Agenzia Europea (Osha-EU). In questo documento, ancora poco noto, vengono elencati i settori lavorativi dove l’elevata presenza femminile necessita di per sé un’attenzione specifica: rischio biologico (agenti infettivi, polvere organica e spore); rischio chimico (agenti detergenti, disinfettanti, gas anestetici, farmaci, coloranti, solenti, piombo, silice, pesticidi, ridotta qualità dell’aria); rischio fisico ( movimentazione manuale dei carichi, posizioni di lavoro faticose, cadute e scivolamenti, temperature fredde o calde, rumore, movimenti ripetitivi, posizione di lavoro fissa); rischio psico-sociale (lavoro che richiede impegno emotivo, lavoro in ore diverse da quelle socialmente condivise, violenze e aggressioni da utentiu, lavoro monotono e ripetitivo, lavoro frenetico, lavoro a prestazione, lavoro senza controllo, interruzioni frequenti). Va inoltre considerato che, nell’ambito delle previsioni europee  basate sul parere degli esperti sui rischi psicosociali, si sottolineano come rischi emergenti legati alla condizione femminile quali: le nuove forme di contratto di lavoro e l’insicurezza del posto di lavoro; l’invecchiamento della forza lavoro; l’intensificazione del lavoro e il già noto elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro. Per finire occorre evidenziare quale elemento inconscio di insoddisfazione delle donne quello che svolgono, più spesso degli uomini, lavori non retribuiti come l’assistenza ai famigliari malati, nonché le cure parentali alle quali dedicano, mediamente, tre volte il tempo degli uomini. Ecco perché ai nove milioni di donne lavoratrici dovrà essere assicurato un percorso diversificato, rispetto ai loro colleghi uomini, per la valutazione del rischio sui posti di lavoro. Spetta al medico competente, specialista in medicina del lavoro oppure in igiene o medicina legale, attivare un percorso al femminile, considerando anche le attività extralavorative che vengono svolte dalle donne, soprattutto in famiglia.

Domenico Della Porta

Docente di Medicina del Lavoro


UN SERVIZIO SANITARIO PIU’ SPECIALISTICO A GARANZIA DELLA SALUTE DELLA POLIZIA

Si rafforzerà il già collaudato percorso di tutela della salute per gli operatori della Polizia di Stato con gli ottantuno nuovi medici distribuiti in 17 specialità,  alla fine del concorso pubblico bandito dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno attraverso la  Direzione Centrale di Sanità della Polizia di Stato. Con i  30 medici specialisti in Medicina del Lavoro, 15 in Medicina Legale, 6 in Cardiologia, 7 in Psichiatria, 2 in Otorinolaringoiatria, 2 Oftalmologia, 3 in Ortopedia, 2 in Medicina dello Sport, 1 in Patologia Clinica, 1 in Dermatologia, 3 in Endocrinologia, 1 in Medicina Interna o equipollenti, 2 in Chirurgia Generale o equipollenti, 2 in Anestesia e Rianimazione, 2 in Malattie Infettive, 1 in Radiodiagnistica 1 in Igiene ci sarà un monitoraggio attento e scrupoloso di tutte le condizioni che nel corso del servizio istituzionale potranno compromettere la salute dei poliziotti in qualsiasi settore prestino la loro delicata attività. Per il Direttore Centrale di Sanità, Dirigente Generale Fabrizio Ciprani, 59 anni neo promosso a questa importantissima funzione, è il primo concorso,nella storia del Corpo, con cui vengono selezionati  medici già in possesso di specializzazioni non scelte a caso per la Polizia di Stato rispetto al passato quando per la partecipazione veniva richiesto solo il possesso e l’abilitazione professionale all’attività di Medico Chirurgo.  ll campo di attività delle Forze di Polizia non è più limitato alla mera conservazione dell’esistente, tipica dell’opera di vigilanza, ha precisato il prof. Ciprani, specialista in Medicina Legale, del Lavoro ed Oncologia, nonché docente alle Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Farmacia dell’Università Statale La Sapienza di Roma,  ma si è da tempo spostata verso compiti sociali, quali le attività di soccorso, di pronto intervento, di informazione al pubblico, che comportano altri tipi di rischio, diversi da quelli tradizionalmente codificati.  Con una platea di professionisti sanitaria così composita, la salvaguardia della salute degli operatori della Polizia di Stato Italiana consolida la sua posizione di leadership già  ampiamente riconosiuta a livello internazionale quale punto di riferimento certo scientificamente accreditato. In un momento in cui si propongono revisioni critiche sul ruolo delle procedure diagnostiche del medico competente ed il futuro della prevenzione in ambito lavorativo, la  recente scelta operata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza punta su aspetti innovativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, centrando l’attenzione sulla integrazione e sinergia dei saperi medico-specialistici senza trascurare aspetti di altra natura organizzativi, ergonomici e formativi.

Domenico Della Porta

Docente di Medicina del Lavoro